Rete gas

Proposte per rilanciare il servizio di distribuzione del gas naturale nel mercato energetico italiano

  1. ASPETTI NORMATIVI E AMMINISTRATIVI DELLE PROCEDURE DI AFFIDAMENTO GAS

1.1. UN QUADRO NORMATIVO COMPLESSO

Il modello di affidamento del servizio di distribuzione del gas fatto proprio dal decreto Letta (d. lgs. n. 164/2000), unitamente al decreto attuativo d.m. n. 226/2011, è all’origine di un insieme di criticità che vanno analizzate ove si voglia superare l’attuale situazione di stallo nell’indizione e celebrazione delle gare in gran parte degli ambiti territori minimi in cui è suddiviso il territorio italiano.
La produzione alluvionale di norme di legge e regolamentari, di atti regolatori dell’Autorità, di proroghe dei termini per l’emanazione dei bandi e di presunte semplificazioni, sviluppatasi nell’arco dell’ultimo ventennio con l’intento espresso di determinare un’accelerazione del processo, non ha prodotto risultati positivi in questa direzione, aumentando, al contempo, la difficoltà nella lettura e sistematizzazione del quadro complessivo .
Si tratta di un quadro normativo-regolatorio che, come segnalato al Parlamento dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nel 2016 (AS1262), non riesce a realizzare lo scopo primo che il d.lgs. 164/2000 intendeva realizzare: la transizione ad un regime di confronto concorrenziale, che, stante le caratteristiche di monopolio naturale del servizio di distribuzione, contempla lo strumento della gara per l’affidamento della concessione (concorrenza per il mercato).
In parte ciò è riconducibile alle peculiarità del quadro originario, e in parte alla direzione in cui lo stesso si è evoluto: la scarsa fattibilità della complessa serie di procedure amministrative, in particolare in materia di definizione del valore di rimborso in favore del gestore uscente, coinvolgenti soggetti istituzionali diversi, prodromica alla pubblicazione del bando di gara, ha dato luogo ad una serie interminabile di rinvii e proroghe che hanno procrastinato oltre ogni ragionevole previsione temporale l’avvio effettivo delle gare in gran parte dei territori.
Dove le gare sono state avviate si è sviluppato un ricco contenzioso, che ha dato origine ad una controversa giurisprudenza (su cui si tornerà nel terzo capitolo, infra), e ad un ampio dibattito che vede coinvolte istituzioni e realtà associative di operatori del settore e di altri soggetti a vario titolo interessati.
In questa prima sezione si focalizzeranno, quindi, alcune delle problematiche che caratterizzano l’impianto normativo vigente, con l’intento di identificare alcuni dei punti nodali che richiederebbero una rivisitazione normativa organica.
Nella seconda parte si centrerà l’attenzione sulla riforma del codice dei contratti pubblici del 2016 e, nel presupposto indiscusso della sua compatibilità già attuale con la disciplina speciale delle gare gas, si evidenzieranno taluni profili di interesse derivanti dalla possibile interazione dei due plessi normativi.


1.2. PROBLEMATICITÀ DEL QUADRO NORMATIVO IN MATERIA DI GARE PER L’AFFIDAMENTO DELLE CONCESSIONI DI DISTRIBUZIONE DEL GAS

1.2.1. La difficile transizione di “ruolo” dei comuni concedenti nella gestione associata del servizio

L’attività di distribuzione del gas naturale è un’attività di servizio pubblico rispetto alla quale gli enti locali affidanti svolgono “attività di indirizzo, vigilanza, programmazione e di controllo” (art. 14 d. lgs. 164/2000). Questo ruolo non può essere svolto tuttavia in continuità con il passato, quando l’ente locale poteva assumere direttamente la gestione del servizio ovvero affidarlo a gestori scelti intuitus personae.
Il nuovo regime introdotto dal d. lgs. 164/2000, come integrato dalle disposizioni successivamente emanate (in particolare dal D.L. 159/07, art. 46-bis, e dal D.Lgs. 93/11 art. 24, c. 4), segna invece un cambiamento radicale per due aspetti:
• in primo luogo, perché introduce il divieto di gestione diretta del servizio da parte degli enti locali e ne impone la assegnazione tramite gara in forma associata e cioè a livello di ambiti territoriali minimi (Atem);
• in secondo luogo, perché l’affidamento del servizio con gara costringe gli enti locali a muoversi nella logica dell’esternalizzazione e contrattualizzazione del servizio, con tutto ciò che ne consegue in termini di capacità tecnico/gestionale (si pensi alla difficoltà di individuare il valore residuo delle infrastrutture da mettere a gara, alla mancata corretta imputazione in bilancio della valorizzazione delle reti di proprietà degli enti…).
Con riferimento a quest’ultimo aspetto, viene in gioco l’asimmetria informativa esistente tra comuni concedenti e gestori: una condizione “naturale” nel contesto precedente, in cui il concessionario era una sorta di “delegato” esperto a cui il servizio era affidato direttamente. In una prospettiva di “esternalizzazione” e contrattualizzazione del servizio, in cui il gestore è vera e propria controparte contrattuale, al pari di tutti gli altri affidamenti, l’ente concedente deve avere piena conoscenza di tutti i dati informativi che consentano di poter affidare il servizio, nella prospettiva degli sviluppi futuri, a qualsiasi impresa dimostri di avere i migliori requisiti in risposta al bando, a prescindere da qualsiasi rapporto diretto intercorso e ancora in atto, assicurando quindi, tra l’altro piena uniformità informativa a tutti i concorrenti.
Con riferimento al primo aspetto, l’opportunità di una gestione del servizio per ambiti territoriali minimi è stata confermata dalla stessa Corte costituzionale, quale misura necessaria per superare la frammentazione e incrementare l’efficienza del servizio .
Tuttavia, il mantenimento di una centralità della funzione dei Comuni concedenti rispetto alle Stazioni appaltanti implica la necessità di uno stretto raccordo organizzativo.
L’assetto è complesso tenuto conto che spettano ai Comuni tutte le decisioni che riguardano la proprietà, la formalizzazione degli accordi con il precedente gestore, la formulazione degli indirizzi che sono alla base delle linee programmatiche di ambito.
I Comuni delegano le Stazioni appaltanti per le funzioni che sono loro proprie (preparazione e pubblicazione del bando di gara e del disciplinare – in conformità ai rispettivi modelli-tipo; aggiudicazione della gara; stipulazione del contratto di servizio e gestione del contratto stesso), salvo partecipare alla funzione di vigilanza e controllo sul gestore (tramite un comitato di monitoraggio costituito dai rappresentanti degli Enti locali concedenti, per un massimo di 15) e partecipare alla determinazione (assunta a maggioranza dai Comuni di ambito, in base alle utenze) di risoluzione del rapporto per gravi e reiterate inadempienze del contratto di servizio da parte del gestore.
La delega alla Stazione appaltante può essere più o meno ampia (potendo comprendere anche il reperimento, da parte della stessa, delle informazioni direttamente presso i gestori), senza che i Comuni siano mai esautorati delle proprie funzioni.
Ai Comuni spetta di fornire alla Stazione appaltante tutta la documentazione rilevante ai fini della predisposizione del bando di gara, gran parte della quale richiede, appunto, l’acquisizione di dati direttamente dai concessionari. Sotto questo profilo si registra una debolezza del sistema. Nel rapporto con i gestori, in particolare, i report delle Autorità di vigilanza mettono infatti in evidenza come gli enti concedenti abbiano svolto un ruolo definito “carente” (giudizio dell’ANAC ), limitandosi spesso ad una “presa d’atto” senza verifiche in concreto. Le cause sono ascrivibili, secondo l’Autorità, sia a scarsa consapevolezza del ruolo che a schemi di convenzione troppo risalenti.
Come si è detto, il reperimento diretto delle informazioni presso il gestore uscente, anche ai fini della verifica del valore di rimborso, può essere delegato alle Stazioni appaltanti. Si tratta di una delega che non determina il venir meno della responsabilità dell’ente locale, premesso che gli atti assunti devono essere sempre approvati, e in special modo la formalizzazione dell’accordo con il gestore uscente relativo alla determinazione dei valori di rimborso.
Ai singoli comuni spettano, infatti, anche valutazioni complesse come quelle relative alla determinazione dei valori di rimborso dell’impianto che il gestore entrante deve corrispondere al gestore uscente (cd VIR, valore industriale residuo), che ha una incidenza diretta sulla gara, perché sullo scostamento tra i valori VIR e RAB (Regulatory Asset Base), quest’ultimo relativo alla remunerazione del capitale investito per la realizzazione degli impianti e oggetto di riconoscimento in tariffa, è chiamata a esprimersi l’ARERA (ove lo stesso superi il 10%, circostanza ordinaria tenuto conto che il VIR, riproducendo i valori convenzionali, è in genere superiore alla RAB) . La questione influisce, infatti, direttamente sia sull’entità della tariffa che sull’ammontare della somma che il gestore entrante è tenuto a rimborsare, con inevitabili riflessi di estrema problematicità laddove i comuni (a monte) non raggiungano un accordo con i gestori uscenti.
Nel passaggio al nuovo regime, proprio l’individuazione dello stato di consistenza e di valutazione delle reti esistenti, con tutti i potenziali conflitti tra gestori ed Enti locali per la corretta identificazione della proprietà delle reti e la loro valutazione, costituisce un elemento di complessità, rispetto al quale si è cercato di introdurre modalità di standardizzazione attraverso l’introduzione delle Linee guida per il calcolo del VIR (di cui al dm22 maggio 2013), sulla cui applicazione è stato, tuttavia, da taluni evidenziato che potrebbero ancora essere opportunamente chiariti alcuni aspetti, al fine di agevolarne maggiormente l’impiego, ove previsto.
Più in generale, in relazione alla notevole attività burocratica che grava sui comuni, viene in evidenza il nodo dei poteri sostitutivi nei casi di grave inerzia degli enti locali nell’assolvimento dei propri compiti. L’AGCM non ha salutato favorevolmente la norma che ha abolito le sanzioni originariamente previste verso gli enti inadempienti (d.l. n. 210/2015, convertito con l. 21/2016) , proprio nel presupposto delle conseguenze negative riconducibili alla impossibilità di sanzionare o, quantomeno, superare l’inerzia degli enti locali interessati per accelerare il processo di avvio delle gare . Il principio di sussidiarietà che regge il sistema di riparto delle competenze tra enti territoriali implicherebbe “naturalmente” la riconduzione di poteri sostitutivi in capo all’ente territoriale “superiore” rispetto a quello titolare delle funzioni rimaste non adempiute. In assenza dell’intervento regionale la funzione passerebbe al Ministero, con le evidenti difficoltà organizzative di poter reperire una task force di esperti idonei ad assumere le funzioni di commissari ad acta.
Sotto questo profilo, la norma contenuta nell’art. 3 del d.m. 226/2011, in ordine all’intervento sostitutivo della Regione nell’avvio della procedura di gara, nonché la riformulazione della procedura operata con l’art. 4, comma 2 D.L. n.69/2013 (che prevede l’intervento del Ministero in caso di inerzia regionale) sono rimaste totalmente inapplicate.

1.2.2. La discrasia tra effettiva programmabilità degli interventi e necessità di una previsione certa, funzionale ai meccanismi di affidamento della gara
In base all’art. 9, c. 3, del dm 226/2011, la stazione appaltante deve redigere le linee guida programmatiche di ambito con le condizioni minime di sviluppo, differenziate in relazione al grado di metanizzazione raggiunto nel comune, alla vetustà dell’impianto, all’espansione territoriale e alle caratteristiche territoriali, in modo tale da garantire l’equilibrio economico e finanziario del gestore. Gli interventi previsti dalle linee programmatiche devono essere giustificati da un’analisi costi/benefici per i consumatori.
Riguardo le linee guida programmatiche di ambito, la stazione appaltante redige il documento guida per gli interventi di estensione, manutenzione e potenziamento da effettuare nei singoli comuni, che funge da riferimento per la redazione, da parte dei concorrenti, del piano di sviluppo della rete e degli impianti.
Con riferimento a questo aspetto si pone un’ulteriore criticità della gara per l’affidamento delle concessioni di distribuzione gas: la discrasia tra il grado di previsione certa degli sviluppi desiderati del servizio (specie in termini di estensioni e potenziamenti) che è possibile per gli enti concedenti e il grado di precostituzione certa delle condizioni di gara, funzionali al confronto concorrenziale.
Gli enti locali si trovano di fronte, infatti, ad un quadro programmatorio per diversi tratti incerto, o comunque non definibile con un sufficiente grado di attendibilità, relativo a un arco temporale lungo quanto la durata delle concessioni. Gli stessi strumenti urbanistici operativi (rispetto ai piani regolatori generali a tempo indeterminato) hanno termini che variano da 5 a 10 anni a seconda delle regioni.
Di questa condizione sembra avere consapevolezza l’art. 9, c. 4, del dm 226/2011, quando, nel definire i contenuti del documento guida stabilisce che debba contenere “gli interventi di massima di estensione della rete ritenuti compatibili con lo sviluppo territoriale del Comune e con il periodo di affidamento” (lett. a).
Il margine di incertezza è incrementato dalle prospettive di politica energetica nazionale che sembrano prefigurare sviluppi in direzione della decarbonizzazione, e più in generale, di un ridimensionamento nell’utilizzo del gas in favore di altre fonti energetiche, anche se il futuro ruolo del gas come fonte e come vettore energetico è oggetto di un ampio dibattito e visioni anche molto differenziate: ciò potrebbe portare a differenti decisioni nell’impiego delle infrastrutture energetiche, con riflessi di cui tener necessariamente conto ai fini della pianificazione del loro sviluppo, prima ancora che riguardo l’utilizzo di quelle già esistenti.
Questa condizione presuppone un apprezzamento dell’interesse pubblico, legato essenzialmente alle questioni di sviluppo e potenziamento delle reti, che possa essere soggetto a nuove valutazioni nel tempo, in una prospettiva che il meccanismo di gara sembrerebbe, almeno in prima battuta, escludere.
L’affidamento tramite una gara (sia essa aperta o ristretta) qual è quella scelta come metodo di selezione dal decreto Letta e dal dm 226/2011, presuppone, infatti, che l’oggetto di ciò che va a gara sia puntualmente definito nella lex specialis della gara, per l’intero periodo di svolgimento; e che, una volta aggiudicata la gara, le condizioni contrattuali siano modificabili entro i margini stabiliti dal codice, nel presupposto che un’ampia facoltà di modifica violerebbe il principio di par condicio di partecipazione alla gara.

1.2.3. La rigidità dei vincoli posti alla Stazione appaltante nella predisposizione dei documenti di gara e del contratto di servizio
La logica della gara presuppone che la Stazione appaltante predetermini l’intera regolamentazione attinente, non solo la lex specialis della gara, ma anche il contenuto del contratto che disciplinerà il rapporto tra ente concedente e gestore, in considerazione del fatto che gli operatori partecipanti alla gara devono essere posti nella condizione di poter presentare la propria offerta avendo già anticipatamente tutti gli elementi a ciò idonei.
Nell’ambito delle gare per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas, la Stazione appaltante si muove nel complesso intreccio di una serie di vincoli:
• in base alla delega comunale dovrà redigere il documento programmatico sulla base dei desiderata espressi dai Comuni di ambito;
• ai fini della disciplina di gara e della regolazione del rapporto successivo, la Stazione appaltante dovrà uniformarsi ai bandi e al capitolato tipo predisposti dal Ministero (allegati al dm 226/2011), in ragione di evidenti esigenze di uniformità delle gare sul territorio nazionale, e al contratto di servizio-tipo predisposto dall’Autorità e approvato dal Ministero (con dm 5 febbraio 2013).
Quanto al primo punto, le Stazioni appaltanti sono chiamate a formulare le Linee guida programmatiche di ambito con le condizioni minime di sviluppo (in rapporto al grado di metanizzazione, alla vetustà impianti, all’espansione e alle caratteristiche territoriali), con tutto ciò che ne consegue in ordine alla necessità di razionalizzare dati disomogenei provenienti dai comuni, alla carenza di informazioni, know how e strumenti che consentano valutazioni tecniche complete e corrette (ad esempio l’assenza di modelli fluidodinamici) e all’assenza di modelli standardizzati di analisi costi benefici. Al riguardo, anche le pur interessanti e significative indicazioni delineate in proposito dall’ARERA nel DCO 410/2019/R/gas, non costituiscono ancora, tuttavia, un vero e proprio modello standardizzato di analisi costi benefici da poter prendere a riferimento. I Comuni, in particolare, mantengono il ruolo centrale di valutare gli elementi programmatici di sviluppo del proprio territorio per la durata degli affidamenti, lo stato del proprio impianto di distribuzione, il valore di rimborso delle reti e degli impianti al gestore uscente.
Quanto al secondo punto, i margini di scostamento rispetto ai bandi e ai capitolati tipo, per le Stazioni appaltanti, sono davvero ridotti e devono essere descritti in un’apposita nota giustificativa, nei limiti del rispetto degli elementi cardine del sistema: la prevalenza attribuita agli interventi di sviluppo e agli interventi in materia di sicurezza, nonché il mantenimento dell’equilibrio economico finanziario (non a discapito dell’equilibrio tariffario) del gestore.
Anche relativamente al contratto di servizio, le possibili modifiche rispetto al contratto tipo riguardano ambiti ristretti; l’orientamento di ARERA sembra, peraltro, richiamare le stazioni appaltanti al pedissequo rispetto del contratto di servizio tipo, annullando di fatto i residui spazi di discrezionalità della stazione appaltante.

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