La crisi di Alitalia come conseguenza delle dinamiche del mercato e degli effetti della liberalizzazione

Si rende disponibile il  primo capitolo  del rapporto Il trasporto aereo, la crisi di Alitalia e le prospettive di soluzione.

Capitolo I – La crisi di Alitalia come conseguenza delle dinamiche del mercato e degli effetti della liberalizzazione.

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Presentazione del rapporto.

Il presente studio, diviso in cinque capitoli più un’appendice, è stato predisposto nell’ambito dell’attività di ricerca sul trasporto aereo condotta presso il Centro di ricerca CESISP dell’Università Bicocca di Milano e utilizza le informazioni disponibili alla data del 30.4.2021. Esso rappresenta la versione aggiornata di un precedente studio, realizzato nella primavera del 2018 e presentato al Senato della Repubblica in occasione di un’audizione parlamentare su Alitalia in data 17.5.2018.
Il primo capitolo esamina le ragioni esterne che hanno portato alla crisi di Alitalia, identificate nelle dinamiche del mercato italiano del trasporto aereo che si sono manifestate a seguito del completamento del processo di liberalizzazione europea. La liberalizzazione ha prodotto risultati molto differenziati nei singoli mercati nazionali: nel caso italiano la debolezza del vettore nazionale ha favorito l’ingresso, lo sviluppo e il successo dei nuovi vettori low cost mentre in altri casi, tra cui in particolare quello tedesco, la forza e il potere di mercato del vettore storico ha tenuto fuori dalla porta i concorrenti più pericolosi, permettendogli di resistere e persino di rafforzarsi, incrementando la quota di mercato. L’esito finale è il successo di alcuni vettori e l’insuccesso di altri, Alitalia in primo luogo, ma il successo dei primi non sembra tanto essere conseguenza della loro capacità di gareggiare coi concorrenti sul mercato bensì della capacità di conservare potere di mercato, di mantenere il controllo del terreno di gioco lasciando gli aspiranti concorrenti quanto più possibile al di fuori e non in grado di partecipare alle gare principali. Sorge in conseguenza un paradosso: il soggetto ora più robusto, quello più in grado di vincere le gare future non è quello che meglio ha vinto le gare passate ma colui che meglio è riuscito a sottrarvisi.
Il secondo capitolo esamina le ragioni interne che hanno portato alla crisi di Alitalia, identificate in errate scelte strategiche e gestionali. Due appaiono gli errori di più ampia portata. In primo luogo i progressivi ridimensionamenti del vettore, attuati in un periodo di rapida crescita e di consolidamento dei concorrenti, ne hanno notevolmente indebolito la capacità competitiva. In secondo luogo il disimpegno dal lungo raggio e la concentrazione sul breve hanno accresciuto l’impatto negativo sul bilancio derivante dalla concorrenza di vettori low cost avvantaggiati da costi di produzione sensibilmente inferiori. Confrontando al riguardo costi e ricavi unitari di Alitalia con quelli dei maggiori vettori low cost operanti nel nostro paese, suoi diretti concorrenti, è emerso come nel quadriennio 2012-16, che ha preceduto lo stato d’insolvenza, l’accentuarsi della pressione concorrenziale abbia portato a una più rapida riduzione delle tariffe praticate dal vettore e dei proventi percepiti. Essa ha potuto trovare compensazione solo parziale nel contenimento dei costi di produzione, generando in conseguenza un incremento insostenibile delle perdite aziendali. La gestione privata è inoltre andata incontro a rilevanti fenomeni di extracosti, in apparenza imputabili a oneri eccessivi sostenuti per l’acquisto dei servizi esterni e per il leasing della flotta. Essi sembrerebbero principalmente derivare dal potere di mercato dei fornitori in congiunzione con la debolezza contrattuale del vettore.
Il terzo capitolo analizza la gestione commissariale, evidenziando in primo luogo le scelte poco opportune adottate dal governo che l’ha avviata. Le principali sono di aver dato un mandato a vendere senza prima accertare che l’azienda fosse vendibile in assenza di un’adeguata ristrutturazione e di aver concesso un prestito non conforme con le regole europee e troppo elevato rispetto al semplice mandato a vendere. Esamina inoltre i risultati della gestione industriale dell’amministrazione straordinaria del vettore nel triennio che ha preceduto la pandemia, mostrando come non sia stato realizzato alcun contenimento dei costi di produzione e miglioramento dei risultati di bilancio.
Il quarto capitolo approfondisce i tentativi di vendita andati a vuoto da parte della gestione commissariale, mostrando come siano state percorse strade non in grado di portare a un esito favorevole e senza un disegno strategico di politica industriale che tuttavia compete ai governi e non all’amministrazione straordinaria.
Il quinto e ultimo capitolo analizza le prospettive di soluzione della crisi di Alitalia, valutando le diverse opzioni per i decisori pubblici. All’inizio dell’amministrazione straordinaria vi erano tre possibilità: la prima era vendere Alitalia, la seconda ristrutturarla, la terza chiuderla. Le prime due erano nelle competenze dell’amministrazione straordinaria in quanto espressamente previste dalle norme che regolano la procedura: vendere Alitalia a un soggetto economico che si sarebbe incaricato di ristrutturarla oppure ristrutturare Alitalia prima di ricercare la sua cessione, quantomeno elaborare e avviare un percorso di ristrutturazione per poi eventualmente cedere il vettore in condizioni migliori. Il governo dell’epoca indirizzò da subito la gestione commissariale verso una rapida cessione, precludendo la seconda ipotesi che comunque i commissari avrebbero potuto in autonomia perseguire. Nei quattro anni ormai trascorsi la cessione si è rivelata tuttavia impraticabile, come era del resto prevedibile, ma la ristrutturazione non è stata realizzata né avviata e ora è troppo tardi per farlo, essendo necessari tempo e soldi pubblici che ormai l’Unione Europea non potrà più approvare.
Sembrerebbe dunque non restare che la chiusura dell’azienda, che può essere realizzata una tantum oppure in due tempi, chiudendo ora gran parte della medesima e insistendo nella NewCo ITA, un nuovo vettore dalla prospettive industriali molto più ridotte delle pur piccole dimensioni che sono previste nel suo piano industriale. Chiudere Alitalia ‘one shot’ richiede tuttavia un’onestà intellettuale raramente presente nei decisori pubblici mentre la chiusura in due tempi può essere mascherata da rilancio, ancorché di difficile credibilità, e lasciare a un governo del futuro l’onere e l’onta dello smascheramento, comunque attenuata come di solito accade nel nostro paese dal non essere i responsabili delle decisioni iniziali. Il fallimento dell’azienda, la sua chiusura, è peraltro l’ipotesi peggiore, date le enormi conseguenze sui livelli occupazionali, i costi sociali e di finanza pubblica che genererebbe e la conseguenza di dover affidare in via quasi del tutto esclusiva l’offerta di trasporto aereo sui cieli italiani a imprese battenti bandiera estera.
Un’altra soluzione, in grado di salvare il trasporto aereo italiano, è tuttavia ancora possibile: utilizzare i tre miliardi pubblici stanziati per il progetto di nuova compagnia per ricercare un’aggregazione europea degli asset restanti di Alitalia, che a questo punto competono allo Stato italiano in cambio dei generosi prestiti erogati senza prospettiva alcuna di restituzione in forma monetaria. In questo modo si affiderebbe a un vettore estero, ma partecipato dallo Stato italiano, il compito di costruire ex novo un vettore nazionale che sia nello stesso tempo economicamente sostenibile e di dimensioni adeguate al nostro mercato aereo e al nostro Paese.
Non compete agli studiosi decidere, il loro compito è solo quello di mettere a disposizione dei decisori conoscenze utili. Ma come è loro dovere etico rendere disponibili e divulgare nella misura più ampia e comprensibile possibile gli esiti della ricerca, anziché custodirli gelosamente all’interno dei dipartimenti universitari e nelle pagine delle riviste scientifiche, notoriamente riservate agli addetti ai lavori, è anche dovere etico dei decisori pubblici tenerne conto, oppure spiegare perché non lo fanno. “Conoscere per decidere”, come sosteneva Luigi Einaudi, decidere in base alla conoscenza. La divisione del lavoro tra chi studia e chi decide è ammissibile e razionale ma la conoscenza non può restare appannaggio dei primi, deve essere ricomposta nell’esito finale così come come sono ricomposti nell’esito finali i differenti contributi del processo di lavorazione degli spilli nell’esempio con cui si apre la ‘Ricchezza delle nazioni’ di Adam Smith.
Se questo non accade, e nel nostro paese sembra non accadere abitualmente, non potremo trovare una spiegazione scientifica ma dovremo probabilmente rivolgerci al mito, magari scrivendo un proseguimento al Protagora di Platone: quando Zeus creò i paesi dell’Europa ne affidò diversi alla cure del titano Prometeo ma quando creò l’Italia non ritenne di sovraccaricare il primo e affidò il Paese al fratello di costui, il titano Epimeteo. Poiché Prometeo è colui che pensa prima ed Epimeteo colui che pensa dopo avremmo in tal modo un’ottima spiegazione dei divergenti risultati conseguiti in questi decenni dalla partecipazione al medesimo grande progetto dell’Unione Europea

 

Ugo Arrigo

(coordinatore dello studio)

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